POTENZA E I SUOI VECCHI ABITANTI
Il racconto di una signora di 91 anni svela come la mancanza di trasporti pubblici abbia cambiato la vita e il senso di comunità nel centro storico
Il periodo dell’anno vicino a quelle che, una volta, venivano definite Festività dei Morti, porta a rivedere parenti lontani che tornano a visitare i cari estinti e ad ascoltare storie di persone di età avanzata che raccontano una Potenza che non c’è più: sembra quasi che si riaccenda quel focolare dove si riuniva la famiglia dopo la cena. I giorni dedicati agli estinti hanno questa capacità che nasce dagli amorosi sensi che scatenano i ricordi, il ritrovarsi a parlare su chi non c’è più e a rinverdire quei ricordi per sentire ancora vicino a noi chi non c’è più ma abbiamo molto amato. Mia madre e mia nonna mi parlavano di processione dei morti nelle case, i defunti tornavano tutti insieme nella stessa notte, la notte fra l’uno e il due novembre che, altrove, si chiama Halloween. «Io prendevo l’autobus da Santa Maria e mi portava fino a Piazza Sedile. Ogni giorno mi facevo una piccola passeggiata in via Pretoria, mi prendevo un caffè e il mercoledì e il venerdì compravo il pesce fresco che Raffaele portava da Barletta alla piazzetta del pesce. Il sabato compravo le cioccolate all’Unica e mi facevo un giro all’Upim. Mi capitava di comperare abiti bellissimi da Lamorgese che ancora posseggo. Poi riprendevo l’autobus a piazza Sedile e tornavo a casa a Santa Maria. Da quando hanno tolto l’autobus, io non sono più andata in via Pretoria. È cambiata la mia vita e sono cambiate le mie abitudini. Non abitavo più in città ma in un altro posto. Mi sono sentita respinta, non ero più autonoma e felice di passeggiare in centro perché non sapevo come raggiungerlo agevolmente.» Questa è la testimonianza di una signora di 91 anni che racconta la città alla nipote rientrata da Parigi per visitare le urne dei parenti. Togliere un mezzo di trasporto pubblico che funzionava bene e cancella- re una fermata di autobus urbano in centro significò privare chi non guidava a rinunciare alla propria indipendenza, alle scelte. Significava frequentare solo un rione e non far più parte della comunità. Mi ha fatto molto riflettere questa testimonianza sincera raccontata come un trauma indimenticabile: da allora è cambiato tutto, la signora disorientata e costretta a vivere solo in alcune strade della sua città. Forse co- stretta in casa, a guardare la città lontana sul monte dalla finestra. Chissà quanti potentini e quante potentini hanno sofferto questo scombussolamento. Non più un centro storico che univa ma tante picco- le comunità intorno a quel centro storico che ha iniziato a decadere proprio in quel momento. Le signore ben vestite non passeggiano più sulla strada Pretoria se non coloro che abitano in centro… proprio non passeggiano in alcun altro posto. Si è smarrito il senso di comunità e nessuno ha pensato di ricostruirlo, di ristabilire piccole vecchie abitudini che collegassero la città al centro, bastavano pochi piccoli bus e una fermata a piazza Sedile per consentire nuovamente questo movimento di persone di mezza età a tornare in centro, di giorno… perché il centro storico non è solo notte e solo giovani, è di tutti o, meglio, era di tutti! Anche perché non tutti hanno gambe e piedi allenati a camminare per le ripide salite di Potenza: qualche francescano che risiedeva a San Michele raggiungeva Santa Maria del Sepolcro con difficoltà come si apprende da qualche documento di un secolo fa, per le ripide salite che collegano il rione di Santa Maria al centro città. A volte per fare un passo in avanti bisogna farne un paio indietro e ritrovare nelle storie delle persone la storia di una comunità in frantumi. Tutti conosciamo lo sfenocasma culturale provocato dal sisma del 23 novembre 1980: sono passati 44 anni e ancora le ferite non si sono rimarginate del tutto. Ancora c’è chi non accetta che manchi quell’autobus a piazza Sedile, la piazza antica della città, «platea rerum venalium» dicono i documenti più antichi, la vera piazza dei potentini. Alcuni sognano solo il ripristino di una fermata e un autobus le cui assenze hanno tolto desideri e piccoli sogni a molte genera- zioni, la fermata è stata tolta all’inizio del nuovo millennio, era resistita anche ai cambiamenti post sisma! Anche io, negli anni ’70, mi aggiravo per la città con gli autobus, era tutto più normale e vivibile. Era quella Potenza scomparsa come Pompei ma a differenza di Pompei non riemerge dalla cenere. Resta nei sogni, nei desideri e drammi profondi che quel nefasto evento ci ha lasciato. Ma anche negli anni successivi e con la ricostruzione in atto si è voluto adottare scelte particolari nei trasporti e nel mettere in comunicazione i rioni con il centro storico, la vecchia città sul monte fortificata e piena del nostro passato che dovrebbe appartenere a tutti i cittadini di giorno e di notte. Oggi si studia la città dei 15 minuti che è un’idea fantastica ma quei 15 minuti per raggiungere ogni cosa si riferiscono a rioni e contrade. Ma da ogni parte della città di Potenza è possibile arrivare in centro in 15 minuti con i mezzi pubblici, anche le utili scale mobili non possono contentare ogni zona della città. Santa Maria appunto e, ad esempio, non ha scale mobili raggiungibili a piedi facilmente ma non ha manco linee di bus urbani che portano direttamente al centro. E Santa Maria non è un rione qualsiasi: è il più antico della città – era il Casale della città, i palazzi sono un ca- so di architettura urbana inusuale – dovevano essere i padiglioni di un grandissimo ospedale psichiatrico e sono diventati residenziali -, è il rione cultura della città con la presenza del Polo Bibliotecario, di un Museo Archeologico, di una pinacoteca e di molto altro. Una città come Potenza estesa territorialmente ma con pochi abitanti che raddoppiano, ogni giorno, con l’arrivo di studenti, lavoratori e frequentatori del terziario ha bisogno di un piano trasporti realizzato da chi conosce la città davvero e le abitudini dei suoi abitanti. E da chi è un esperto reale su questi aspetti ma, co- me si può notare facilmente, a Potenza combattono i foderi mentre le sciabole restano appese ai muri. Nelle amministrazioni cittadine bisogna lasciare il posto ai migliori cittadini e non a «prodotti» della politica dello scorso secolo.
Di Antonella Pellettieri