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INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ALLA CERIMONIA IN OCCASIONE DEL VENTICINQUESIMO ANNIVERSARIO DELL’OSSERVATORIO PERMANENTE GIOVANI – EDITORI

SERGIO MATTARELLA: Vedete, alla mia età, abitualmente, si cade nella tentazione di pensare come – scusate il latino ragazzi – ma molti lo hanno studiato – come un laudator temporis acti, come quelli che dicono: “com’era bello ai miei tempi”!
Non è affatto così! È meglio oggi, è molto più entusiasmante oggi di quando io ero alla vostra età

È GIUSTO INFORMARE 

Roma , 16/11/2024 (II mandato)

INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ALLA CERIMONIA IN OCCASIONE DEL VENTICINQUESIMO ANNIVERSARIO DELL’OSSERVATORIO PERMANENTE GIOVANI – EDITORI

Presidente: Ragazzi, siete voi i protagonisti! Per me è un gran piacere incontrarvi, alla presenza di tanti autorevoli protagonisti del giornalismo e della vita economica del Paese. 

Quindi sono in attesa delle vostre sollecitazioni, prego

Elena Bartolini dell’IIS Laeng – Meucci Osimo – Castelfidardo, sede di Meucci di Castelfidardo (AN).

Buona sera mi chiamo Elena Bartolini e frequento la quinta B del liceo scientifico scienze applicate dell’Istituto Superiore, Laeng Meucci, di Osimo, Castelfidardo, sede Antonio Meucci, di Castelfidardo, in provincia di Ancona.

D. La Media Literacy è certamente uno dei temi più attraenti del momento. Noi studenti del Meucci ne siamo consapevoli, perché da anni prendiamo parte alle iniziative promosse dall’Osservatorio come il Quotidiano in classe, e lavoriamo su tali aspetti. L’informazione, dunque, grazie alle tecnologie digitali e ai social media, è diventata fluida, orizzontale, priva di intermediari e, in alcuni casi, virale. Viviamo in ecosistemi informativi complessi, dove ognuno di noi è esposto quotidianamente ad un flusso imponente di dati che polarizzano la nostra attenzione e nessuno è in grado di capire a priori l’attendibilità, la correttezza, l’autenticità. La vera conoscenza, però, richiede interesse. Non esistono cose poco interessanti, ma persone poco interessate e sappiamo che le emozioni sono le guide che aprono la strada allo sviluppo cognitivo. 

Alla luce di ciò, come possiamo trasformare questa nuova informazione digitale in vera conoscenza? Grazie.

R. Queste tecnologie, quelle digitali, sono già tra di noi, non sono altro da noi, sono nella nostra vita quotidiana e quindi come sempre nella storia e in qualunque epoca, conoscere il mondo nel quale siamo immersi è indispensabile per potersi orientare, per potere anche partecipare alla condizione che si ha di fronte. 

Certo i cambiamenti di oggi sono molto più veloci di un tempo. Sono addirittura impetuosi nei loro ritmi. E voi siete la generazione chiamata a interpretare in questo mondo che cambia velocemente gli strumenti che si presentano, ad adoperarli. 

Naturalmente questo comporta tante potenzialità, anche diversi rischi. È quasi un salto di specie quello che si sta realizzando con le novità che la scienza felicemente ci consegna. 

Certo non è che basti sapere digitare una tastiera o immettere una parola in un motore di ricerca, per poter essere padroni degli strumenti e quindi del proprio tempo. 

È indispensabile costruirsi un bagaglio di conoscenze, che come sempre è irrinunziabile in qualunque epoca, per poter comprendere come funziona il mondo intorno a noi, e orientarvisi ed esserne partecipi e protagonisti. 

Informarsi, quindi, con la acquisizione delle conoscenze per evitare trappole manipolative. Questo è anche un diritto democratico che è fondamentale, che differenzia lo status di utente semplice da quello di cittadino. E è una scelta fondamentale, una distinzione fondamentale. 

Sappiamo bene tutti che è indispensabile assicurare che i livelli di democraticità, che i nostri ordinamenti hanno raggiunto, non vengano messi in discussione – non dico azzerati, ma ridotti – da strumenti tecnologici che non si governano in maniera adeguata. 

Anche per questo l’Unione europea, per affrontare questo rischio, ha inteso regolare con alcune misure volte a garantire uno spazio digitale comunitario dove si utilizzino gli strumenti tenendo conto dei valori e dei diritti fondamentali. 

Come diceva prima il Presidente Ceccherini, con il rispetto della dignità della persona posta al centro. Per questo acquisire conoscenze, come la vostra collega sollecita, è fondamentale. Grazie.

Marco Veneziano dell’Istituto Patetta di Cairo Monte (SV)

Signor Presidente, buon pomeriggio. Io sono Marco Veneziano dell’Istituto Federico Patetta di Cairo, Montenotte, in provincia di Savona, frequento la classe quarta dell’indirizzo amministrazione, finanza e marketing con percorso tecno, e questa è la mia domanda. 

D. Sappiamo che recentemente i percorsi scolastici hanno introdotto nuove tecniche per la formazione dei propri studenti, su quelle competenze quali possono essere il pensiero critico, la capacità di fact-checking o l’abilità di confrontarsi con opinioni differenti. 

In che modo queste competenze possono diventare degli strumenti essenziali per proteggere le nuove generazioni dai rischi della polarizzazione e delle bolle informative in questo contesto sociale e digitale, che ci appare sempre più caratterizzato da fake news preconcetti e divisioni ideologiche? Grazie.

R. Grazie. La domanda è come evitare di diventare schiavi di fonti che potrebbero risultare adulterate, fuorvianti. Servono regole generali che garantiscano la piena libertà di informare. Questa – qui vi sono esponenti protagonisti del giornalismo – questa della libertà di informare è l’ossigeno per la vita democratica di un Paese. 

Occorrono anche regole che nello stesso tempo difendano, garantiscano il cittadino da notizie volutamente artefatte, falsificate o lo difendano da fonti oscure, da dati acquisiti, violando la privacy, come avviene, sovente, con l’acquisizione indebita dei dati conservati in archivi, ma utilizzati per gli scopi più diversi da chi li detiene.

Naturalmente serve anche una crescita di consapevolezza di ciascuno per rimuovere il rischio che le notizie siano filtrate da preconcetti o da deformazioni. 

La cui consultazione fornisce dati utilizzati da algoritmi per influenzare, creare circoli di pensiero vincolati, chiusi, non aperti a quello, che poc’anzi abbiamo richiamato: lo spirito critico e la sua fondamentale importanza. 

Quando si formano questi circuiti di pensiero chiusi, manipolati in base a meccanismi automatici, davvero ci si trova dentro una condizione che è irriducibile rispetto alla realtà. Ha un’altra strada, la ignora. 

Vi faccio qualche esempio della vita concreta, c’è una percentuale non irrisoria nel mondo di persone che pensano che la terra sia piatta, tutt’oggi, con i satelliti che circolano in giro per l’aria.

C’è un grande allarme, ragazzi, tra i medici, nel mondo della sanità, per il ritorno di alcune malattie che sembravano debellate. Quando avevo la vostra età, avevo alcuni compagni di scuola colpiti dalla poliomielite, scomparsa per la vaccinazione e il morbillo era ancora una minaccia che allarmava i genitori.
È scomparsa per decenni. Comincia a riaffiorare perché siamo al di sotto della soglia di sicurezza di diffusione della vaccinazione.
Vi è un allarme recente per la pertosse, perché un altro dei rischi è quello di affidarsi al web come fosse il medico di fiducia, 

Lo vediamo in questi giorni anche con le conseguenze drammatiche che si registrano, 

Ecco tutto questo, questi circuiti che catturano l’utente, che catturano chi vi si affida sono estremamente pericolosi. Quindi quello di essere, di avere a disposizione conoscenza, di essere formati, di avere suggeriti strumenti di conoscenza che difendono è un’azione fondamentale. 

Il rischio farsi catturare dallo smartphone, di essere davvero prigionieri isolati in un mondo che non corrisponde alla realtà è una condizione difficile. Perché la diffusione degli strumenti non accompagnata da adeguata preparazione, dalla conoscenza dei meccanismi che mette in guardia è estremamente allarmante. Per questo è importante quanto il vostro collega sottolineava: la formulazione, la trasmissione e la presentazione di strumenti di conoscenza che consentono di difendersi. Per questo è importante questa attività. Grazie.

Caterina Messina del Liceo Vailati di Genzano di Roma

Buonasera Presidente, buonasera a tutti. Sono Caterina dalla classe quinta del liceo scientifico, Giovanni Vailati di Genzano in provincia di Roma. 

D. Noi studenti insieme ai nostri docenti, abbiamo riflettuto su come, con l’avvento dei social e l’utilizzo sempre più frequente dell’intelligenza artificiale, nella società odierna si stia sviluppando una tendenza sempre maggiore all’omologazione. quali sono, secondo lei, le opportunità e i rischi principali legati all’utilizzo sempre maggiore dell’intelligenza artificiale, soprattutto in relazione alla tutela dell’unicità e della diversità del pensiero che nella nostra società e nel nostro Paese ha sempre avuto espressioni molto diversificate? Grazie.

R. Pensando ai temi di cui abbiamo parlato, sono andato a rileggere, a ritrovare un ricordo, il testo di un ricordo di quando ero a scuola – ragazzi molto tempo fa – perché, vedete, Giacomo Leopardi nel 1824, nelle Operette morali, si dimostra, per allora visionario, per oggi anticipatore. 

C’è una pagina magnifica in cui immagina un bando di concorso, di una ipotetica immaginaria accademia, l’Accademia dei Sillografi. Il bando per realizzare, per creare – letteralmente per costruire – l’amico perfetto, la donna ideale, l’uomo virtuoso. I Sillografi nell’antica Grecia erano gli autori di versi burleschi e satirici, satirica come questa pagina di Leopardi.

Però lui – vedendo a 26 anni nel 1824 – ipotizza macchine che possono realizzare cose di quel genere. E mette in guardia dai rischi di conformismo, quantomeno, ma anche di alienazione, letteralmente, di disumanizzazione. Bene questo è un insegnamento di cui tener conto. 

Noi siamo portati spesso a credere, in maniera leggermente superficiale, che le macchine, i calcolatori siano neutri, dipendano poi dall’uso che ne fa chi li adopera. 

In realtà questo vale per alcune cose di esperienza quotidiana. Se si vuole un motorino, se si vuole andare in motorino, si prende il patentino, si studia il codice della strada, si può fare. 

Ma con i calcolatori è un po’diverso. Perché il rendimento dipende da come è stata costruita la modalità di ragionamento. E questo è il cuore dei nuovi strumenti. È come viene composto l’insieme dei loro fattori. Per capire, quindi, come porre delle domande, occorre capire e sapere com’è stata costruita la modalità di ragionamento. 

Ecco, per questo faccio mio il richiamo che faceva poc’anzi il Presidente Ceccherini. Sono strumenti che devono avere sempre al centro, come finalità, uso, disciplina la dignità delle persone. 

Vedete, alla mia età, abitualmente, si cade nella tentazione di pensare come – scusate il latino ragazzi – ma molti lo hanno studiato – come un laudator temporis acti, come quelli che dicono:
“com’era bello ai miei tempi”!

Non è affatto così! È meglio oggi, è molto più entusiasmante oggi di quando io ero alla vostra età. 

E quindi io, personalmente, valuto entusiasmanti i nuovi strumenti che la scienza ci pone a disposizione. Bisogna però sapere che nella storia umana, sempre, le scoperte scientifiche vengono poi adoperate in modo positivo o in modo perverso a seconda della coscienza di chi li adopera e di chi li organizza. Per questo è indispensabile riflettere bene alle immense opportunità, ma anche ai rischi, per verificarli e accantonarli. 

L’Intelligenza Artificiale ci aiuta enormemente. Ci consentirà di fare in tempo molto minore e meglio cose che richiedevano molto più tempo e molta fatica. Consentirà opportunità straordinarie nella medicina, per la salute. In qualunque campo sarà preziosa. 

Naturalmente bisogna però che sia orientata in questo modo, in queste direzioni. E quindi occorre che vi sia la consapevolezza che è uno strumento che cambia la nostra vita. Non soltanto il nostro modo di muoversi, di vivere, ma anche il nostro modo di ragionare, perché i tempi sono affrettati. Quindi occorre attrezzarsi per essere preparati perché sia uno strumento che garantisca maggiore libertà, maggiori opportunità, evitando che si sia prigionieri di un meccanismo che invece depaupera la consapevolezza della coscienza umana, perché questo è l’importante. 

L’Intelligenza Artificiale è fondamentale, sempre di più si svilupperà, migliorerà, accrescerà i suoi risultati, le sue potenzialità. Ma quella umana è quella che ha consapevolezza e coscienza ed è quella che va sempre tenuta in cura maggiore. Auguri!

Tommaso Pasquali dell’Istituto Don Bosco di Padova

Buon pomeriggio Signor Presidente, buon pomeriggio a tutti. Mi presento sono Tommaso Pasquali e frequento l’Istituto Don Bosco di Padova. A nome di tutta la mia delegazione volevo dirle che è un onore per noi essere qui e la ringraziamo e ringraziamo anche l’Osservatorio.

D. Volevo cambiare un po’ il genere della domanda, volevo farle una domanda non tanto sulla sua Istituzione, quella che lei rappresenta, bensì sulla sua persona. Essere il Presidente della Repubblica significa detenere un ruolo come arbitro super partes, che ha il compito di rappresentare l’unità nazionale, non come singolo ma come istituzione, assumendo questo ruolo volevo chiederle come lei abbia fatto ad accantonare quelle ideologie politiche o pregiudizi. 

In questi nove anni si è mai sentito a disagio o ha mai riscontrato una difficoltà nel prendere una decisione che contrastasse le sue idee personali? Grazie mille.

R. La metafora dell’arbitro è ben scelta. Non sempre sono popolarissimi gli arbitri, diciamo la verità! Ma è una buona scelta, perché esprime imparzialità e, naturalmente, quindi, non di abbandonare o accantonare idee che si professano, di cui si è convinti, ma di sapere che non sono quelle il parametro delle decisioni da assumere ogni volta.

Non mai, ma neppure sempre. Io sono stato 25 anni in Parlamento – quindi ho avuto schieramenti politici, una posizione politica – ma il Presidente della Repubblica deve essere assolutamente al di fuori delle competizioni politiche e quindi accantonare i comportamenti conseguenti delle sue idee, per tenere conto di quelle che negli altri organi costituzionali vengono espresse. 

Essere arbitro, significa, in questo caso, in questa dimensione particolare, sollecitare al rispetto delle regole tutti gli altri organi costituzionali e tutti gli altri organi dello Stato.

Significa anche ricordare a tutti i limiti delle proprie attribuzioni, delle sfere in cui operano. Riguarda, questo, il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario, secondo la tripartizione classica dell’inizio dell’era liberale, ma ciascun potere dello Stato e ciascun organo dello Stato deve sapere che ha dei limiti che deve rispettare, perché i poteri dello Stato e le funzioni dei vari organismi dello Stato non sono fortilizi contrapposti che cercano di strappare territorio gli uni agli altri, ma sono tutti elementi chiamati dalla Costituzione a collaborare fra loro, ciascuno nel suo compito, rispettando quello degli altri. 

È il principio di checks and balances, che è noto tra i costituzionalisti, quello dei contrappesi, dei limiti e degli equilibri. Perché è importante per qualunque organo, per qualunque potere, rispettare il potere degli altri organi. Perché non vi sia nessuno nello Stato, nel nostro ordinamento, che abbia troppo potere. 

Perché il contenimento dei propri limiti è fondamentale, così come lo è il controllo degli organi imparziali, che indicano e ricordano il rispetto dei limiti di ciascun potere. 

E questo è un altro dei compiti all’arbitro, naturalmente. 

Sapete, l’immagine dell’arbitro l’ho adoperata anch’io nella mia prima elezione, nel discorso d’insediamento alle Camere quasi dieci anni addietro. Ho detto che il Presidente è come un arbitro ma ho invitato anche i giocatori ad aiutarlo nell’applicazione delle regole. Perché questa coralità nel rispetto delle regole è fondamentale. 

C’è anche un altro aspetto. Il Presidente della Repubblica entra particolarmente in attività quando il sistema si blocca, quando per una qualunque causa c’è un inceppamento del sistema. 

Questo può avvenire perché non tutto è prevedibile. 

Nello sviluppo degli eventi, in qualunque Paese, degli eventi politici e istituzionali del proprio Paese vi sono eventi che quando sono state scritte le norme non erano prevedibili. 

Le norme, quelle costituzionali, non prevedono analiticamente tutto quello che può avvenire, perché nessuno lo sa e non è prevedibile. Quindi hanno, tutte le norme costituzionali, un tasso di duttilità, di elasticità che le rende adatte ad affrontare eventi non previsti e non prevedibili.

Quando questo avviene, quando il sistema si blocca, il Presidente della Repubblica interviene per aiutare a rimetterlo in funzione.

In fondo, oltre che come un arbitro, è come un meccanico: interviene per riparare, per rimettere in funzionamento il sistema che si è inceppato. 

Questo è il compito del Presidente della Repubblica che naturalmente comporta necessariamente imparzialità. 

Ed è colui che sollecita anche, con richiami indispensabili, che nascono da tante parti – non soltanto dal Capo dello Stato – nel nostro Paese, all’unità, alla coesione. Che non è l’antitesi della dialettica politica, nella differenza delle posizioni, delle idee. Al contrario, è il quadro in cui questa dialettica, questo confronto, questa anche contrapposizione, talvolta, delle idee, delle proposte e dei programmi, si articola. Dentro una cornice, però, di unità che è l’interesse nazionale, l’interesse generale del nostro Paese. 

Questo è, del resto, quello che chiede una vita in comune in una comunità. Chiama alla rivendicazione dei diritti e al rispetto dei doveri. E nelle istituzioni il rispetto ai doveri è quello di fare la parte propria. 

Mi hai chiesto se mi è capitato di dovere adottare decisioni che non condivido. Sì, in quasi dieci anni di svolgimento di questo ruolo mi è capitato più volte, naturalmente.

Vedete il Presidente della Repubblica promulga leggi, emana decreti, oltre a molte altre attività, che sono essenzialmente di interlocuzione, con la società del nostro Paese, con i cittadini nel nostro Paese, e anche con i Capi di stato di altri Paesi. Frequentemente perché l’Italia esercita una grande forza d’attrazione: quindi, lo scambio di visite è frequente, particolarmente a Roma.

Ma nel promulgare leggi o emanare decreti il Presidente della Repubblica ha delle regole che deve rispettare.

Più volte mi è avvenuto di promulgare una legge che non condivido. Che ritengo sbagliata, anche inopportuna. Ma è stata approvata dal Parlamento, dalla Camera e dal Senato, e io ho il dovere di promulgarla. 


Soltanto in un caso posso non farlo: quando rilevo che in quella legge, in quel testo approvato dalle Camere vi sono evidenti contrasti con la Costituzione, evidenti incostituzionalità. 

In quel caso ho il dovere di non promulgare

Ma devono essere evidenti: soltanto un dubbio di conformità alla Costituzione, di contrasto con la Costituzione, non mi abilita a non promulgare, perché usurperei i compiti che sono di un altro organo che è la Corte costituzionale. 

Soltanto in quel caso posso. Ma la non promulgazione ha un limite di efficacia. Come dice l’articolo 74 della nostra Costituzione, il Capo dello Stato può non promulgare la legge, rimandarla alle Camere, ma se queste la riapprovano deve obbligatoriamente promulgarla. 

Quindi quel che mi hai chiesto capita frequentemente, ma il mio dovere è svolgere i compiti che mi assegna la Costituzione, anche su cose che non condivido. Perché la volontà politica nel campo legislativo la esercita il Parlamento, non il Capo dello Stato.


Ogni tanto sentirete dire, anche leggere o ascoltare, nei giornali e nei telegiornali, appelli al Presidente della Repubblica:

“Non firmi questa legge perché è sbagliata”

oppure “l’ha firmata vuol dire che la condivide”. Tutti e due sbagliano.

È come se vivessero ancora con lo Statuto Albertino

Sapete allora, quello Statuto, prevedeva che il potere legislativo fosse affidato non alle due Camere, ma alle due Camere e al re, che aveva oltre il potere di promulgazione e l’obbligo di promulgazione, il potere di sanzione. Doveva cioè dire: “sono d’accordo su questa legge e allora do la sanzione e quindi la promulgo”. 

Fortunatamente non siamo in una Monarchia, siamo in una Repubblica democratica dove il Capo dello Stato ha i suoi limiti

Io sorrido quando mi si fanno appelli a non promulgare una legge perché è sbagliata

Se è palesemente incostituzionale, ho il dovere di non promulgarla, ma se è sbagliata, non sono io chiamato dalla Costituzione a giudicare se è giusto o no, ma il Parlamento. 

Oppure quando si dice: “questa legge l’ha firmata quindi vuol dire che chi è d’accordo”

Non è così. Io registro che il Parlamento a cui è affidata dalla Costituzione la funzione di approvare le leggi, l’ha approvata e la promulgo. Questo vale anche per alcuni decreti naturalmente. 

Perché, vedete, la democrazia vive di regole che non devono essere mai violate

Un giorno mi ha detto un ragazzo, non tanto ragazzo, era già avanzato: “Presidente non la promulghi questa cosa, perché lo fa a fin di bene”

Gli ho risposto:

“Guai a violare le regole a fin di bene perché si abilità poi chiunque a farlo a fin di male”!

Le regole vanno rispettate sempre! Questo è quel che c’è sul Capo dello Stato: invitare alla coesione nazionale, invitare al confronto civile, rispettoso, invitare al rispetto delle regole, dei limiti che si hanno, ricordare che ciascun potere ha dei limiti che deve rispettare, accettando gli interventi altrui. È anche, naturalmente, rispettare i limiti che ha lui stesso. E io cerco costantemente di rispettarli.

Sofia Forlin – Liceo classico Giovanni Prati – Trento.

Buonasera Presidente, buonasera a tutti. Sono Sophia Forlini del Liceo classico Giovanni Prati di Trento. 

D. La nostra domanda riguarda il fenomeno di crescente migrazioni di giovani che, da oltre un decennio sta interessando il nostro Paese. Infatti, tra il 2011 e il 2021, circa 452.000 italiani di età tra i 18 e i 34 anni hanno scelto di trasferirsi all’estero, portando con sé competenze e potenzialità che rappresenterebbero un valore aggiunto per il nostro Paese. Quindi, è lecito domandarsi quale sia l’impatto di questa fuga dei talenti sul futuro economico e sociale del nostro Paese. In particolare, mi permetto di chiederle, quale sia – secondo la sua valutazione – la politica da adottare per fronteggiare questa problematica e, al contempo, quali misure dovrebbero essere messe in campo per migliorare l’immagine dell’Italia a livello internazionale, così da rendere il nostro Paese un luogo dove le nuove generazioni possano trovare opportunità di crescita, lavoro e realizzazione personale. La ringrazio.

R. Conosco diversi, numerosi giovani che sono andati all’estero. 

Parto al contrario. La mobilità dei giovani, la possibilità di andare all’estero, lo scambio, sono preziosi. L’esperienza fatta all’estero è un’esperienza preziosa. 

Vi sono scambi di studenti nelle superiori, nelle università con l’Erasmus, che sono particolarmente importanti, e, anche dopo – una volta acquisita la professionalità – gli scambi, le esperienze di lavoro all’estero sono di grande importanza. E quindi, sarebbe un errore pensare che sia grave che alcuni vadano all’estero per fare esperienza o per lavorare all’estero, così come sarebbe grave pensare che non possano venire in Italia a fare la stessa esperienza. 

Quindi, guardiamoci bene dal pensare che occorre tagliare i ponti o alzare ostacoli o muri per impedire il trasferimento. Pensate, ragazzi, che nel secolo scorso, nella prima metà, per qualche tempo, era proibito lasciare le campagne per andare a vivere in città, in Italia. 

La mobilità è un diritto garantito dalla Costituzione. 

Qual è il problema? È quando questo avviene per costrizione, quando si va all’estero perché non si ha possibilità di lavorare in Italia, cosa che capita purtroppo frequentemente.
È quando lo scambio è in perdita, quando questo allontanamento impoverisce territori ampi del nostro Paese, e comporta naturalmente una fuoriuscita e un abbandono dell’Italia da parte di giovani intraprendenti, anche di alta formazione. 

Io risponderei volentieri alla domanda che mi ha fatto, quali strumenti e quali scelte politiche, ma questa è una tentazione da cui devo rifuggire, perché non sono io a poter dire quali strumenti politici adottare: invaderei il campo del Parlamento e del Governo, e non l’ho mai fatto e non intendo farlo. 

Però non c’è dubbio che questo è un problema grave, che richiama anche altri aspetti, che non riguardano tanto i giovani, quanto il sistema del nostro paese. Riguardano, per esempio, le difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro e i livelli retributivi di primo accesso del lavoro, che registrano una differenza profonda tra il nostro paese e altri Paesi dell’Unione Europea. 

Per queste ragioni, il problema non è andare all’estero, è essere costretti a farlo, e questo richiede degli interventi. 

Ci si preoccupa di questo da tempo, per la verità. Ma occorre – non posso andare al di là di questo – occorre individuare strumenti che siano efficaci perché i nostri giovani non abbiano questo incentivo ad andare all’estero perché qui non riescono ad avere prospettive. Se invece vogliono andare all’estero perché hanno il desiderio di altre esperienze, perché hanno contatti con altri ambienti scientifici o culturali, questo è una risorsa preziosa, perché nella storia gli scambi di cultura hanno sempre fatto progredire tutti, chi va e chi accoglie. 

Cecilia Montaldi – Istituto Tecnico Leardi – Casale Monferrato.

Buonasera Signor Presidente, buonasera a tutti. Io sono Cecilia, Montaldi, dell’Istituto Tecnico Leardi di Casale Monferrato, in provincia di Alessandria. 

D. Visti i risultati delle ultime elezioni amministrative, abbiamo riscontrato un forte distacco fra giovani e politica, in particolare solo il 40% dei giovani compresi tra i 18 e i 24 anni hanno votato. Secondo lei, cosa si può fare per invertire questa tendenza? 

R. Ti ringrazio. È un tema di grande importanza, che tocca un aspetto allarmante: il continuo decremento della partecipazione al voto dei nostri concittadini

Non è un fenomeno soltanto italiano, ma per noi colpisce. Quando avevo la vostra età – ancora non votavo, perché si votava a ventun anni allora – l’affluenza era tra l’80 e il 90%, intorno all’85% mediamente: adesso abbiamo elezioni in cui l’affluenza al voto è talvolta sotto il 50%, e l’astensione è molto alta tra i giovani, come hai detto. È un segnale allarmante, ripeto, in cui tutti devono interrogarsi. 

Talvolta ho l’impressione che ci sia – è anche comprensibile forse- tra le forze politiche, maggiore attenzione rivolta, per la competizione, soltanto a chi vota, a chi poi andrà alle urne. Il problema principale però del nostro Paese, del nostro sistema istituzionale, è verso chi non vota, per indurlo a partecipare alla vita democratica del paese con le elezioni. 

Perché la democrazia vive della partecipazione: se questa non c’è, appassisce. Veramente, letteralmente – come in botanica – sfiorisce. E non possiamo permettercelo. Vive con la partecipazione. 

Per questo bisogna analizzare e capire per quali ragioni. Sfiducia nella influenza del voto? Indifferenza? Dubbio che non serva a nulla, perché tanto c’è chi comanda, ci sono i potentati economici, o di altro genere, che comandano comunque, al di là del voto? Oppure c’è un difetto comunicativo tra istituzioni, vita politica e giovani? 

Quale che sia – e non tocca a me dire di che si tratta – quello che sia va affrontato e colmato, anche perché proprio l’affluenza dei giovani, che sono quelli che di più subiscono gli effetti delle scelte politiche, è indispensabile. 

Talvolta ho sentito qualcuno che dice “ma tanto non mi riguarda”. Non è vero. Le scelte politiche che si fanno poi da parte degli eletti, riguardano la vita concreta di ogni giorno di ognuno di noi. E questo quindi richiede partecipazione, e i giovani sono quelli il cui futuro è condizionato altamente dalle scelte politiche. 

C’è una grande attenzione tra i giovani per la questione ambientale, una provvida attenzione da parte dei giovani sui temi ecologici, ma sono scelte politiche, che vengono fatte da chi è eletto. Vi sono esigenze – come quelle di cui poc’anzi parlavamo – della fuga verso l’estero: anche qui si tratta di scelte da compiere, e partecipare irrobustisce il vigore delle istituzioni e anche la legittimità di chi governa e di chi decide in Parlamento. Per questo è importante la partecipazione, spero che nelle scuole questo venga trasmesso. 

C’è una bella frase di Don Milani, come molti di voi sapranno, il priore di Barbiana: “So che il problema degli altri è uguale al mio” e diceva alla toscana “sortirne insieme è politica, sortirne da solo è egoismo”. 

Questa è la differenza, questo è quel che sottolinea, anche sotto questo profilo, l’importanza di partecipare al voto. Per questo spero che la scuola – che in fondo è anche il primo esercizio di vita in comune, di vita democratica – possa aiutare, stimolando alla partecipazione.

Adesso, se mi è consentito, vorrei aggiungere due parole non sollecitate, per dire che sono lieto di questa opportunità di dialogo che mi avete offerto ragazzi, in quell’assemblea che celebra i 25 anni dell’Osservatorio

Un’iniziativa che, sin dall’inizio, come abbiamo visto, si è proposta di sviluppare lo spirito critico dei giovani, attraverso la proposta di lettura delle fonti plurali di informazione: il giornale in classe è stata una felice formula di invito, di presentazione della stampa ai giovani. 

Lo scopo è chiaro, è emerso anche dal filmato: quello di avere cittadini informati, consapevoli e anche esigenti. 

Viviamo una stagione – lo abbiamo visto con le domande poste – di grandi trasformazioni in un tempo che è fatto anche, purtroppo, ampiamente, di emergenze, di conflitti, di calamità naturali. Ne conseguono talvolta smarrimento e instabilità. 

E in questo tempo presente emergono parole che voi conoscete, anche meglio di me, post verità, permacrisi, infodemia. Sono, in realtà, perlopiù neologismi che mettono insieme termini greco-latini e terminologia del digitale. 

Ne vengono, da questa sintesi lessicale, come illustrate due realtà: quella del passato e quella del futuro. Passato e presente col futuro sono due elementi di cui tener conto in maniera costante. 

Il passato contiene tutto il portato di una storia millenaria fatta, come sapete, studiando storia, di abissi, di progresso, di speranze. E dalla quale sarà possibile attingere strumenti e lezioni che hanno condotto faticosamente a costruire società libere e democratiche in cui prevalga il valore della vita di ogni persona.

Come ci siamo già detti, le tecnologie digitali che ormai viviamo nel nostro quotidiano, tenderanno con intensità sempre maggiore a determinare ogni dimensione della nostra esistenza, dal lavoro, alla produzione, allo studio, ai rapporti sociali.

Se saremo in grado di impiegare queste straordinarie potenzialità, che le innovazioni ci consentono, per affrontare le transizioni necessarie a garantirci un futuro sostenibile e inclusivo, per combattere disuguaglianze e povertà economiche e sociali, e anche le povertà culturali, per perseguire il benessere individuale e sociale e la convivenza pacifica, allora sì l’Intelligenza Artificiale e tutte le altre applicazioni saranno al servizio dell’umanità. 

Tuttavia, sappiamo, ce lo siamo già detti poc’anzi – lo diceva il Presidente Ceccherini – che l’obiettivo principale deve essere quello di sviluppare l’intelligenza umana, quella delle persone perché – ripeto – lì questa si accompagna a consapevolezza e coscienza, quella di cui le macchine sono prive, per quanto perfezionate, e straordinariamente veloci ed efficienti. 

In questo ambito risiede l’importanza della coscienza dei valori di libertà e democrazia. E, alla luce di questi valori, l’informazione non è un prodotto, ma è un bene essenziale.

Saper distinguere il vero dal falso è indispensabile, così come scongiurare il rischio che, per i nativi digitali, l’informazione coincida con flussi ininterrotti di notizie senza analisi critica della consistenza di ciascuno

In un quadro simile prevarrebbe la notizia, non quella più rispondente alla realtà ma quella trasmessa per prima, acriticamente accettata – come talvolta avviene- oppure quella ritenuta più accattivante per trasmetterla ai fruitori delle notizie. 

Il diritto dovere di informare e di essere informati è garantito, come tutti sappiamo, dall’articolo 21 della nostra Costituzione. Riguarda tutti: i cittadini possono formarsi un’opinione autentica soltanto se viene garantita un’informazione libera, indipendente e plurale, in cui la funzione professionale dei giornalisti – anche in omaggio alla fondamentale legge istitutiva dell’Ordine professionale – è quella di certificatori di verità, ripeto, certificatori di verità, naturalmente con libertà articolata delle opinioni interpretative, mentre ai media permane il compito di essere i “cani da guardia della democrazia”.

È un compito che i media hanno sempre avuto ed è importante per la democrazia. 

Alla coscienza e al contributo di ciascuno in questi ambiti, nel giornalismo, nei media, compete saper discernere, esprimere questi valori. 

Non esiste un Ministero della verità

L’invito che proviene da quest’Assemblea è “dubita e dibatti”. Vale a dire quello di confrontarsi con le diverse idee e le diverse opinioni

Si tratta di un percorso che vi attende ragazzi nella vostra vita, in cui vi sarà prezioso lo spirito critico, indispensabile. 

Un percorso di essere custodi vigili dei valori della nostra comunità, valori così ben riassunti nella nostra Costituzione.

Auguri ragazzi! 

#sapevatelo2024 

 

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