SAN FELE NELLA “ASSOCIAZIONE PAMPHILJ DORIA”
Nel paese che ospitò il confino di Manlio Rossi-Doria, l’Amministrazione attiva azioni a favore del territorio
La Storia più antica di San Fele, si allaccia oggi più che mai a quella attuale, grazie al lavoro dell’Amministrazione comunale che nell’ultimo Consiglio, tra i diversi punti all’ordine del giorno, ha deliberato l’adesione alla “Associazione Pamphilj Doria”, «di respiro nazionale, che riunisce i Comuni italiani in cui c’è stata la presenza della illustre famiglia. Ogni Comune avrà un rappresentante, per andare poi a formare i vari organismi dell’Associazione -spiega il Sindaco Donato Sperduto- e proprio in quest’ottica sabato si è svolta una call con Città di Castello, cittadina umbra che vide il Cardinale Giuseppe Maria Doria Pamphilj, Legato di Urbino dal 1785 al 1794.
Tornando a San Fele, solo il 14 ottobre scorso, il Primo Cittadino, si recò a Roma, nello storico Palazzo Doria Pamphilj, con il Sindaco di Forenza Francesco Mastrandea e il consigliere delegato alla cultura Michele Grottola, alla presenza della famiglia Doria, per la presentazione del libro “A tavola con i Doria – nello Stato di Melfi”. Con la promessa di un prossimo incontro a San Fele per approfondire la conoscenza della storia del Comune.
Facciamo però un passo indietro, San Fele nasce nel 969 come Castrum, voluto da Ottone I di Sassonia per difendersi dagli assalti bizantini, ma la fortezza divenne pure luogo di prigionia di personaggi celebri: Enrico di Baviera, Enrico, figlio di Federico II ed Ottone di Brunswich. I signori che si avvicendarono dall’XI al XV secolo nel possesso del feudo, ambito per la sua impenetrabile posizione e come punto strategico di tutta la Valle di Vitalba, godevano dei favori dei re dell’epoca. Federico II nel 1240 e Carlo d’Angiò nel 1270 fecero ampliare il castello.
È però nel 1613 che il feudo venne acquistato dalla famiglia Doria, cui rimase in possesso fino alla eversione feudale. Ma il paese vide anche un confinato speciale, ovvero Manlio Rossi-Doria, il quale condivideva con il tricaricese Rocco Scotellaro l’adesione morale, il senso di appartenenza al destino del Sud e a quel mondo agricolo al quale si era votato già nel 1924 quando a 19 anni lasciò Roma per iscriversi alla Facoltà di Scienze Agrarie dell’Istituto superiore di agricoltura di Portici. Nel giugno 1940 Manlio Rossi-Doria viene condotto a San Fele dove lo raggiunge la moglie Irene e la figlia Anna; sarà poi destinato a Melfi dove nascerà la loro seconda figlia Marina e ancora ad Avigliano fino alla caduta del fascismo nel luglio 1943. Di questi anni da confinato in Basilicata Manlio Rossi Doria dirà: «Sono stati uno dei periodi più belli della mia vita: la vita di paese con i contadini e i pochi confinati, con la speranza crescente della fine del fascismo, con un intenso lavoro intellettuale. È stata, infatti, una vita piena».
Oggi il Comune di San Fele, che nel suo centro storico, nei pressi di Piazza Garibaldi, vide il soggiorno obbligato di Manlio Rossi-Doria, gode di un’eredità importante che ispira le azioni a favore del territorio, le appartenenze storiche e culturali sulle quali costruire nuove sinergie tra Comuni in tutta Italia.
Aver ospitato uno dei più importanti Meridionalisti, economista, politico e studioso di fama mondiale, elegge San Fele, insieme a Melfi e Avigliano, a luoghi-simbolo del Meridionalismo al pari di Tricarico e di Aliano, culle dell’impegno politico e del pensiero vasto di Scotellaro e di Carlo Levi.
Se oggi il lavoro dell’Amministrazione Sperduto volge verso un rilancio del territorio anche dal punto di vista storico, contrastando i problemi atavici delle aree interne, tra i quali soprattutto lo spopolamento, Manlio Rossi-Doria in una lettera a Nuto Revelli del marzo 1977 già asseriva: «È mia convinzione che tra gli esiliati all’estero o nelle grandi città dalla industrializzazione selvaggia e caotica, la nostalgia oscura di quel che hanno perduto possa –non dico in tutti, ma in molti – trasformarsi in interessamento fors’anche in partecipazione a razionali processi di riordino, di rimessa e di sviluppo della contrada, nelle quali hanno ancora il cuore e le radici. Mi chiedo, quindi, per il tuo Piemonte –come per la mia Irpinia e Lucania o Calabria– se non si possa andare tra coloro che sono partiti, per rilegarli tra loro in associazioni aperte ai problemi delle valli e degli altopiani dove sono nati». Una frase emblematica, quest’ultima di Doria, che ben descrive un problema ancora attuale.